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SAE Alumni Stories: Antonio Filasieno

Alumno del corso di Game, Antonio Filasieno ci porta alla scoperta del suo percorso professionale. Tra riflessioni sul suo lavoro nella gamification e un approfondimento sul gioco Helping Hand, che sta progettando insieme al suo team conosciuto proprio in SAE, Antonio ha dato preziosi consigli a chi desidera un futuro nell’ambito del Game.

Ciao Antonio, come stai? Come sta andando questo periodo lavorativo?

Io sto bene e il lavoro va molto bene. Io e il mio team stiamo andando avanti con i nostri progetti e siamo sulla buona strada, mi ritengo soddisfatto.

Come ti sei avvicinato al mondo del Game?

Da piccolo chiesi come regalo per Natale la PlayStation 2, che effettivamente mi regalarono. In poco tempo diventò il mio passatempo preferito in assoluto. Da lì, il mondo dei giochi è diventato la mia principale fonte di intrattenimento e, con il tempo, questo interesse è andato oltre il semplice hobby, diventando qualcosa che mi affascinava tanto da volerne capire i meccanismi.

Qual era l’aspetto che ti affascinava di più del mondo dei giochi?

Era diverso da qualunque altro tipo di fonte di intrattenimento. La principale caratteristica che differenzia un gioco da altri media è l’interattività. Il gioco richiede la partecipazione attiva dell’utente e offre la possibilità di vivere in prima persona esperienze attraverso personaggi che magari già conoscevo, o altri completamente nuovi, cosa che a me affascinava tantissimo.

Come hai capito che volevi farlo diventare la tua vita, il tuo lavoro?

Ho sempre avuto in testa questa idea, ma dopo aver finito le superiori ho deciso di buttarmi, ho deciso di provarci perché ci tenevo molto a conoscere questo mondo: sentivo che era la strada giusta. Quando ho iniziato a dedicarmi a questo lavoro, non sono più riuscito a immaginarmi in un contesto diverso. Ho capito che questo è il lavoro che amo e al quale voglio dedicarmi.

Inizi poi a frequentare il corso di Game Design in SAE, dove incontri un gruppo di colleghi che diventerà fondamentale nel tuo percorso.

Sì, ci siamo conosciuti tutti in classe, tra studenti sia di Game Design che di Game Art. Abbiamo fatto amicizia condividendo le nostre esperienze riguardo ai giochi, parlando di ciò che ci piace e di come ci sarebbe piaciuto sviluppare determinati giochi. Ci siamo trovati molto bene insieme, al punto tale che in un secondo momento abbiamo provato a pubblicare un primo progetto insieme, che ha ottenuto un discreto successo. Da lì in poi si è formato questo team che è andato a espandersi col tempo.

Di cosa ti occupi all’interno del team?

Dipende dal gioco, dal progetto. In genere prendo parte alla fase iniziale del design e quindi della progettazione dell’idea e di come produrlo. Mi occupo anche delle interfacce, nello specifico della programmazione. Ho imparato a lavorare sulla programmazione delle UI per un progetto in SAE, e ho imparato a farlo abbastanza bene. Mi occupo solo della programmazione, mentre la parte estetica la lascio a qualcuno che ha un po’ più di occhio. Quando è necessario, seguo anche il processo di bilanciamento, andando ad equilibrare al meglio l’esperienza di gioco, che è la mia parte preferita.

Guardando altri giochi, cerco sempre di analizzare perché è stata fatta una certa scelta, in modo da capire il funzionamente dei titoli più importanti, cercando al contempo di capire come posso migliorare io, come devo ragionare.

Attualmente lavori nell’ambito della gamification. Che potenzialità ha secondo te?

Mi occupo della progettazione di giochi finalizzati all’apprendimento in ambito lavorativo. Questi giochi ricreano un ambiente di lavoro preciso, situazioni di lavoro vere. Attraverso l’intelligenza artificiale viene simulata anche l’interazione, per esempio, con i clienti. L’idea è quella di creare un ambiente quanto più simile alla realtà così che poi, quando una persona si approccia veramente al mondo del lavoro e al mondo di quello specifico lavoro, è già in grado di interfacciarsi con colleghi o clienti ed è già abile nello svolgere determinate mansioni.

Credo che la gamification possa essere molto utile nella formazione specifica di tanti ambiti lavorativi, soprattutto quelli che hanno un maggiore indice di rischio, perché dà la possibilità di mettersi in gioco in una simulazione che comunque non è il mondo reale, ma che permette di avere un’idea più chiara di come agire in situazioni particolari o critiche.

Questo può essere molto utile, perché il lavoratore in questo modo non viene messo direttamente e senza preparazione in un contesto che può causare molto stress a primo impatto.

Tu e il tuo team avete realizzato un gioco dal titolo Helping Hand. Com’è nato?

Si tratta di un progetto completamente nostro, indipendente. L’idea è nata nel 2023, mentre lo sviluppo vero e proprio è partito all’inizio di quest’anno. Il gioco è stato interamente realizzato da noi, dall’idea di gioco, passando dai modelli che si vedono al suo interno, fino alle meccaniche.

Qual è il concept dietro a Helping Hand?

Lo scopo del gioco è aiutare una piccola creatura a scappare da una casa infestata. Il gioco punta molto sulla storia e sul generare emozione nella persona che gioca, facendogli provare affetto verso questa creatura. Come tipologia, rientra nei giochi platform, mentre l’ambiente di gioco ha un piccolo tocco horror.

C’è un momento che preferisci nel processo di creazione di un gioco?

Direi il momento iniziale, la fase di concept. Soprattutto in una realtà indipendente, è un momento in cui nascono tantissime idee diverse. L’inizio è sempre molto interessante perché si possono esplorare varie idee, per poi andarle a combinare tra loro, anche se molto diverse.

Helping Hand nasce proprio in questo modo. Volevamo creare un gioco che fosse interessante. Siamo partiti con tante idee, ma alla fine abbiamo dovuto trovare una serie di punti che lo rendessero molto interessante per il pubblico

Qual è una tua skill, personale o professionale, che ti sei ritenuto fortunato ad avere per affrontare il mondo del lavoro?

Una skill che ho, che ho sempre cercato di sfruttare al meglio, è essere in grado di imparare le cose in poco tempo e metterle subito in pratica. Nell’ambito del Game Design è una cosa importante, perché bisogna essere flessibili, in particolare quando si lavora in ambito indipendente, e soprattutto quando lavori in team. Essendo il nostro un team piccolo, dobbiamo cercare di avere quante più capacità possibili per essere in grado di occuparci di tutte le necessità di un gioco. Imparare in questo ambito è molto importante.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri?

A breve termine, sicuramente far arrivare sugli store Helping Hand. Stiamo lavorando per raggiungere buoni risultati, tutto il team ci crede tantissimo. Crediamo veramente tanto che alla gente possa piacere e che possa portare buoni risultati.

A lungo termine, invece, voglio continuare a lavorare in questo ambito, voglio continuare a migliorare e a imparare. Non posso sapere cosa succederà nei prossimi anni, anche a livello di team, ma la cosa fondamentale è continuare a sfornare prodotti anche più piccoli. Non tutti i giochi raggiungeranno il massimo dei risultati, ma funziona così. L’importante è continuare a fare esperienza e a migliorarsi.

Un consiglio allx studentx che vogliono entrare in questo settore?

Siate curiosi e appassionati, perché è un ambito che ha davvero tantissime ramificazioni, ci sono tantissime cose da imparare ed esplorare. Credo sia importante avere voglia di imparare sempre di più e migliorare. Quando lavorate a un gioco progettato interamente da voi credeteci, credeteci in un modo sano. Abbiate il coraggio di continuare a lavorare e migliorare.

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