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SAE Alumni Stories: Jacopo Gentilini

Ciao Jacopo, bentornato in SAE! Come stai? Come sta andando questo periodo?

Ciao! È un periodo molto intenso! Si è da poco concluso Nameless, che rappresenta il momento in assoluto più importante del nostro anno lavorativo. È stata un’edizione impegnativa che ha dato parecchie soddisfazioni, ed è stata la naturale conseguenza di tutto il duro lavoro che è stato fatto per realizzarla. I risultati sono stati positivi anche a livello personale, in termini di crescita professionale: sto imparando veramente tantissime cose! Quando si ha la possibilità di mettere concretamente a terra quello che si è studiato è sempre estremamente gratificante.

Lavori da ormai qualche anno nell’ambito dei festival musicali. Come ti sei approcciato a questo mondo? Cosa ti ha spinto a scegliere questo il percorso accademico in Music Business e a farne la tua professione?

Ho iniziato il mio percorso universitario conseguendo una triennale in Economia e Commercio,  e nel momento in cui mi sono ritrovato a dover decidere in quale mercato lavorare, ho scelto quello della musica, perché sapevo che sarebbe stato l’unico che mi avrebbe portato senza troppi sacrifici a lavorare giorno e notte. Oltre a sviluppare una professione e le proprie competenze lavorative, è importantissimo anche scegliere qualcosa che ci appassioni, perché dovremo dedicarci molto tempo. Ho deciso quindi di proseguire il mio percorso di studi sempre nell’ambito economico e di marketing, ma in un settore specifico che è, appunto, quello della musica. Ho scelto il corso di Music Business di SAE perché i docenti sono professionisti del settore, un aspetto che per me è  stato fondamentale. 

In che modo il tuo percorso universitario in Economia e il Bachelor’s di SAE si sono completati nella tua formazione? 

La triennale in Economia e Commercio è molto ampia, tratta l’economia in senso generale, fornendo i pilastri fondamentali che servono ad affrontare in un secondo momento un settore specifico, che ha delle proprie peculiarità. In SAE il percorso è verticale sulla musica, è strettamente legato alle esigenze del settore. È stato utile avere una formazione precedente nell’ambito della disciplina in generale, perché avevo sempre dei concetti di base ai quali fare costantemente riferimento.

La collaborazione con Nameless inizia proprio in SAE. Com’è andata?

La collaborazione con Nameless nasce durante l’ultimo anno in SAE, proprio alla conclusione di un corso che era tenuto, in quel periodo, da Alberto Fumagalli, il fondatore di Nameless Festival. Durante il percorso ho conosciuto il docente ed è stato un po’ come fare un colloquio organizzato in tanti mesi. È importante saper cogliere queste opportunità.

Di cosa ti occupi all’interno di Nameless?

Seguo i partner e gli sponsor del festival. Si sta investendo molto sulla creazione di esperienze con i brand all’interno del festival, con l’obiettivo di dare un’offerta ulteriore rispetto a quella prettamente musicale. Di fatto, si tratta dell’allestimento di experience su misura da proporre ai clienti all’interno del festival stesso, per loro diventano motivi in più per rimanere nella stessa location per 10 ore al giorno (30 ore in totale).

L’artista è quello che continua a muovere la massa, ma, allo stesso tempo, è importante che  all’interno di Nameless ci siano tante altre cose. Quel “tante altre cose” è una delle parti di cui mi occupo, andando a esplorare mondi alternativi rispetto alla musica: dall’abbigliamento, alla sostenibilità, fino alle installazioni artistiche, agli sport adrenalinici. Oltre a questo supporto il team che gestisce gli aspetti finanziari e di sostenibilità economica del festival, sviluppando strategie di prezzo e piani marketing per monitorare e raggiungere un determinato pubblico. 

Il tema dei festival in Italia è molto dibattuto, soprattutto in un’ottica di confronto con l’estero. Qual è la tua opinione in merito? Che potenzialità vedi nelle realtà che ci sono in Italia da questo punto di vista? Come si possono sviluppare?

In Italia ci sono diverse realtà molto interessanti, ma di piccole dimensioni. Il mercato è popolato per lo più dalla categoria dei Boutique Festival. Ciò è sicuramente positivo, ma non deve essere l’unica opzione sul tavolo: deve esserci anche quella di costruire una realtà di grandi dimensioni e quindi rivolta a un pubblico di grandi dimensioni.
Per arrivare a questo risultato, è inevitabile dire che l’ispirazione principale e il riferimento principale siano i festival all’estero, proprio per il fatto che in Italia si trovano pochi benchmark. Detto questo, ovviamente, la realtà inglese, per esempio, ha dei tratti distintivi, quindi va bene prendere ispirazione, ma con equilibrio, e tenendo sempre a mente, ad esempio, che lo storytelling di Nameless è uno, l’immaginario di Nameless è uno, e tutto deve essere fedele a quello. Le potenzialità in Italia ci sono, sono tantissime, abbiamo le location più belle in assoluto a livello mondiale. I presupposti, gli ingredienti per fare questo tipo di eventi ci sono, ritengo debba crescere solo un po’ la professionalità del settore.

Quali sono le principali difficoltà e le sfide che hai affrontato partecipando alla produzione di un evento di questa portata?

Una delle sfide principali è avere a che fare con interlocutori che non sono sempre abituati a collaborare con i festival. Le loro attività hanno un core business distante dalla musica, quindi non è sempre semplice spiegare loro sia quali sono i valori aggiunti di essere parte di un festival musicale, sia quali siano le criticità che possono sorgere in questo contesto. La costruzione di un’esperienza custom o l’allestimento di uno stand ad hoc non sempre si sposano con tempistiche, necessità, procedure e burocrazie che per le grandi aziende e i grandi brand sono di fatto obbligate; far quadrare tutto e portare a casa il risultato non è mai scontato. Accanto a questo, la costruzione effettiva dei progetti richiede un vero e proprio lavoro di team. Ci sono tutta una serie di aspetti che devono essere seguiti: dalla produzione, al design, dalla comunicazione, alla rendicontazione delle spese, dalla grafica, agli allestimenti.” Lavorare in squadra è sempre la cosa più funzionale e utile all’interno di questo settore, ma ci sono spesso momenti di difficoltà da affrontare. È fondamentale che il team rimanga coeso e funzioni bene. Questo richiede lo sviluppo di competenze empatiche e la capacità di lavorare con le persone, aspetti fondamentali per ottenere risultati migliori. Investire in queste competenze, anche se non sempre è semplice, porta a individuare la strada corretta per lavorare insieme.

Che consiglio daresti agli studenti e alle studentesse che aspirano a entrare in questo settore?

Mettersi in gioco. Come dicevo prima, in SAE gli studenti hanno l’opportunità di fare una sorta di colloquio che dura tanti mesi con i propri docenti, a prescindere che il lavoro poi lo si trovi lì o altrove. Mettete da parte le paure, le titubanze. Un aspetto importante è avere l’attitudine corretta. Bisogna essere sempre attenti a quello che succede attorno, non solamente nel settore musicale, ma in generale nel mondo CCS, perché poi la differenza la si fa’ solamente se si riescono a proporre idee diverse da quelle che sono state proposte fino al giorno prima. La passione, poi, deve essere il motore. Valutate attentamente se questo tipo di lavoro è quello che può portarvi, grazie alla passione, a sacrificare gran parte del vostro tempo per lavorare su progetti sicuramente attrattivi, originali e interessanti, ma che richiedono costanza.

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